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Sicurezza sul lavoro. Valutazione dei rischi e modelli organizzativi: ripassare la distinzione è sempre utile

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Emilio Scanavino, "Protetto a metà", 1970

La produzione torrenziale di carte non dovrebbe essere il senso cui si riduca l'attività aziendale di analisi dei propri rischi in tema di sicurezza sul lavoro;  si constata invece spesso che, con l'espressione  "modello organizzativo", ci si intenda riferire, più che altro,  a voluminosi incartamenti, spesso corredati da slides di ogni tipo.

Il modello, invece, parrebbe consistere in un concreto modo di essere, deliberato, attuato, presidiato e, soprattutto, sanzionato in caso (inevitabile) di violazioni.

Ciò vale innanzitutto per il Modello di cui all'art. 30 d.lgs. 81/2008 (vale poi, in diversa visione prospettica, anche per il ben più ampio Modello di cui al d.lgs. 231/2001).

Una recente sentenza di merito (Corte appello Lecce, 07/08/2021, n.881), in motivazione, aiuta a ripassare la distinzione tra alcuni concetti fondamentali in questo delicato ambito.

Tra le varie puntualizzazioni operate dalla Corte territoriale, merita riportare le principali.

L'adozione di un modello organizzativo ex art. 30 d.lgs. 81/2008 non costituisce un obbligo giuridico, bensì assolve unicamente ad una funzione esimente (ex art. 6, comma 1, lett. A D.Leg.vo 231/01).

L'istituzione di determinate figure professionali (quali RSPP e Medico Competente) è prevista obbligatoriamente (cfr. artt. 31 e ss.gg. D.Leg.vo 81/2008) e gli istituti cui esse sono preposte (ossia il Servizio di Prevenzione e Protezione e la Sorveglianza sanitaria), assolvono alla funzione di prevenzione degli infortuni, laddove il modello organizzativo risponde alla necessità di mappare le aree di rischio e di predisporre un sistema di controlli diretti ad "assicurare l'adempimento" di una serie di obblighi giuridici in tema di sicurezza nei luoghi di lavoro, ed a ridimensionare il rischio di commissione di reati in violazione della normativa antifortunistica.   Quindi, naturalmente, la prima non può equivalere al secondo.

Né, peraltro, la mappatura della rischiosità ex art. 30 D.Leg.vo 81/2008 può farsi coincidere con la valutazione di rischi ai sensi degli artt. 15 e 28 stesso D.Leg.vo.

Infatti, mentre il DVR è diretto ai lavoratori ed assolve alla funzione di informarli dei rischi generici e specifici presenti nel luogo di lavoro, il modello organizzativo si rivolge anche a coloro che, all'interno della compagine aziendale, sono esposti al rischio di commettere reati colposi, sollecitandoli al rispetto degli obblighi giuridici in materia antifortunistica, anche attraverso la previsione di un sistema di vigilanza sull'attuazione delle prescrizioni in esso contenute e che culmina nella previsione di sanzioni disciplinari in caso di inottemperanza.

Infatti, l'art. 2, comma 1 lett. dd) del D.Leg.vo 81/2008 definisce, in senso ampio, "modello di organizzazione e di gestione" il modello per la "definizione e l'attuazione di una politica aziendale per la salute e la sicurezza, idoneo a prevenire i reati di cui agli artt. 589 e 590, terzo comma c.p., commessi in violazione delle norme antifortunistiche e sulla tutela della salute sul lavoro"; in tal guisa, il modello organizzativo di cui all'art. 30 presenta un contenuto ed una platea di destinatari più ampia rispetto al DVR, essendo finalizzato a prevenire ogni possibile condotta - ascrivibile anche agli organi dotati di poteri decisionali - determinativa o agevolativa di situazioni di rischio.

Sovente gli aspetti precettivi e disciplinari non risultano colti e, soprattutto, praticati:  col che il cerchio non si chiude e si rimane, appunto, "protetti a metà".

L'integrazione, indispensabile, tra disciplina giuslavoristica, organizzazione e prevenzione, non pare richiedere ulteriori argomenti per essere dimostrata.