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Divieto di licenziamento e sopravvenuta inidoneità alla mansione: tra COVID19 ed equilibrio contrattuale

Giacomo Balla Pessimism and Optimism

Giacomo Balla, "Pessimismo ed Ottimismo, 1923.

L'INL, con propria breve nota del 24 giugno 2020, ha affermato che, ai fini del divieto di licenziamento introdotto dalla normativa emergenziale, di cui all'art. 46 del DL 18/2020 (convertito in legge 27/2020), deve ritenersi vietato oggi anche il licenziamento per sopravvenuta inidoneità alla mansione.

l'INL evidenzia che il legislatore ha inteso conferire a tale art. 46, "un carattere generale, con la conseguenza che devono ritenersi ricomprese nel suo alveo tutte le ipotesi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell'art. 3 della l. n. 604/1966":  ne consegue il divieto anche per la specifica ipotesi in esame, "atteso che l'inidoneità sopravvenuta della mansione impone al datore di lavoro la verifica in ordine alla possibilità di ricollocare il lavoratore in attività diverse, riconducibili a mansioni equivalenti o inferiori, anche attraverso un adeguamento dell'organizzazione aziendale (...)  L'obbligo di repechage rende, pertanto, la fattispecie del tutto assimilabile alle altre ipotesi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, atteso che la legittimità della procedura di licenziamento non può prescindere dalla verifica in ordine alla impossibilità di una ricollocazione in mansioni  compatibili con l'inidoneità sopravvenuta".

Nel contesto emergenziale ed alla luce di una chiara volontà politica di bloccare i licenziamenti, per ora tamponando problemi con uso della CIGO da COVID 19, tale orientamento non stupisce.  Esso lascia però dei dubbi.

 Ben poco vi è di scolpito nella pietra, nel trattamento dei casi di sopravvenuta inidoneità alla  mansione, la quale, concettualmente, non è altro che sopravvenuta impossibilità, parziale o totale, di rendere la prestazione pattuita in contratto (artt 1463 e 1464 c.c).  Per lungo tempo l'interpretazione giurisprudenziale ha sottratto tale tipo di licenziamento alla regola del cd. repechage, salvo poi mutare opinione con Cass. S.U. 7 agosto 1998, n. 7755, in Riv. It. Dir. Lav., 1999, II, pag. 170.

Il ragionamento dell'INL trova quindi conferme nella giurisprudenza consolidata, ma ci si può ben chiedere il senso di un argomentare che desuma da un elemento di per sè esterno alla fattispecie e già introdotto per via interpretativa (il repechage, appunto) la sponda decisiva per concludere circa la natura di "quel" tipo di licenziamento.   E' nella sfera personale del lavoratore che qualcosa è mutato, la valutazione organizzativa del datore ne è una conseguenza. e tale valutazione, sì, sarà a sua volta giudicata tenendo conto di quell'elemento aggiuntivo che si è voluto inserire e chiamare "obbligo di repechage".

Pare significativo che, ancora di recente, la Corte di Cassazione sia dovuta ritornare sul caso della inidoneità sopravvenuta alla mansione della guardia giurata, per riaffermare, operando un'interpretazione chiaramente antiletterale dell'art. 120 del CCNL Imprese di Vigilanza, che anche la "risoluzione del contratto" per perdurare di detta inidoneità oltre 180 giorni sia, comunque, riconducibile ad un licenziamento per GMO, anche qui con argomentare che esprime una volontà, più che una rigorosa analisi delle  diverse possibili fattispecie estintive di un rapporto di lavoro ""il rapporto di lavoro a tempo indeterminato della guardia giurata non si risolve in via automatica per la sopravvenuta impossibilità della prestazione" (pur se la lettera del CCNL, invece, questo dice) "essendo necessario un atto di espressione di volontà da parte del datore di lavoro che configura, dunque, nell'ambito della disciplina speciale del diritto del lavoro, un licenziamento (ossia una fattispecie estintiva del rapporto di lavoro dipendente dalla volontà del datore di lavoro) per giustificato motivo oggettivo" (come se non esistesse più la manifestazione di volontà relativa alla facoltà di risolvere un contratto, nel nostro ordinamento) "orientamento che si inscrive nella più ampia tesi che ritiene del tutto residuali le ipotesi di assoluta impossibilità sopravvenuta della prestazione lavorativa (in quanto da valutare con particolare rigore) ed inquadrabili nell'ambito del recesso per giusta causa ex art. 2119 c.c.":  Così Cass.  civ. Sez. lavoro, Sent. 11-11-2019, n. 29104.

La linea di politica giurisprudenziale espressa è netta e l'operatore deve tenerne conto, esattamente come della linea interpretativa affermata dall'INL.

Vien da chiedersi, in costanza di divieto di licenziamento, a fronte di una conclamata inidoneità alla mansione, pure senza possibilità di impieghi alternativi, quale sia il corretto rapporto concettuale tra approccio generalista "CIGO COVID" e approccio civilista da inadimplenti non est adimplendum: sospensione  della controprostazione retributiva  ?   Il tutto, beninteso, senza dimenticare che il datore è vincolato anche da quell'art. 2087 c.c. che gli impone, per la protesione del lavoratore stesso, proprio, di non adibirlo allo svolgimento delle mansioni che a quel punto "si sa" che gli sarebbero potenzialmente fonte di danno..

Temi assai intricati e circa i quali la ricerca di un assetto equilibrato non è agevole:  non vi possono essere soluzioni generali ed astratte, solo la programmatica ricerca della minimizzazione del rischio per il datore di lavoro, da parte di chi lo assista.