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Nuovo art. 2476 c.c. e non solo: verso l'erosione della responsabilità limitata ?

 

2013 CKS 01106 0027 000alberto burri cretto

Alberto Burri, "Cretto"

Si dibatte assai vivacemente, in questo periodo, sul c.d.  “codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza”, pubblicato in Gazzetta Ufficiale del 14 febbraio 2019, per varie ragioni.

Una delle più sentite è il fendente che una norma di tale codice, l'art. 378,  modificativo dell'art. 2476 c.c., reca ad uno dei fondamenti del diritto societario:  la responsabilità limitata.  La norma nuova si cura di non recarlo apertamente, ma opera in via obliqua.

Intervenendo a disciplinare compagini socialmente tipiche "a compagine ristretta", nelle quali chi detiene la maggioranza delle quote usualmente è anche amministratore, il nuovo testo prevede: «Gli amministratori rispondono verso i creditori sociali per l’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale. L’azione può essere proposta dai creditori quando il patrimonio sociale risulta insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti. La rinunzia all’azione da parte della società non impedisce l’esercizio dell’azione da parte dei creditori sociali. La transazione può essere impugnata dai creditori sociali soltanto con l’azione revocatoria quando ne ricorrono gli estremi»

Quindi:  non solo chi gestisce un'impresa in forma societaria affronta il rischio di perdere il capitale investito e ne risponde semmai verso gli altri soci;   no:  ora si vedrà attribuito dallo Stato anche il nuovo ruolo di garante avanzato delle pretese dei creditori, venendo costituito responsabile anche degli interessi dei medesimi (cosa ne sia, poi,  di questa componente del rischio di impresa dal lato proprio dei creditori,  a loro volta imprese tendendialmente, qualcuno magari si curerà di spiegare). .

E' un passaggio grave, nel merito non condivisibile, ma a ben vedere tutt'altro che rivoluzionario: nel sistema, ormai da tempo compaiono elementi di interpretazione che paiono convergere nell'attaccare uno dei pilastri dell'impostazione (che fu)  liberale del diritto delle società.

Alcuni spunti, tra i molti possibili.

In un provvedimento di richiesta di archiviazione reso dalla Procura della Repubblica di Torino nel 2017, si legge che, se è vero che Tizio ed i suoi familiari, azionisti della Società X, "sono soggetti terzi rispetto alla società debitrice, ragionando in termini non formali ma sostanziali - che paiono più adeguati alla comprensione complessiva della vicenda - non si può non considerare come, agli occhi della banca creditrice, Tizio - azionista ed amministratore unico - rappresentasse il soggetto cui attribuire in qualche misura la responsabilità del dissesto economico della società e, dunque, dei crediti non soddisfatti della banca. E in quest'ottica" (la banca) "pretendeva un sacrificio da un soggetto che andava ad identificarsi con la società stessa, rappresentandone la proprietà".

Un recentissimo lodo arbitrale reso in Brescia il 29 gennaio 2020 (edito in www.ilcaso.it) ripropone la teorica per cui, in tema di revoca dell'amministratore di Srl, siano applicabili i principi dettati per le società di persone dall'art. 2259 c.c. La conseguenza è che, ove l'organo giudicante (Tribunale o arbitro, nel caso) non si convinca dell'esistenza di un'effettiva giusta causa di revoca, anche in questo tipo di Società la conseguenza sarebbe "l'inefficacia"! radicale della delibera: i Soci contrari a quell'amministratore  dovrebbero non più ragionare allora di eventuali indennizzi economici spettanti al medesimo revocato, ma lo dovrebbero invece vedere ancora ostinatamente in carica a gestire la comnpagine di cui - per quote - sono proprietari.

In ambito tributario, esiste da anni la nozione, giurisprudenziale, di  “ristrettezza della base sociale”, secondo cui si presume che i maggiori utili accertati a carico di una società di capitali si traducano  in maggiori redditi accertati in capo ai soci persone fisiche, con richiesta di imposte dirette a danno di costoro. Anche di recente, la Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 27049 del 23.10.2019,  ha confermato che l’Amministrazione finanziaria può presumere che i soci di un’impresa a ristretta base familiare –anche se costituita sotto forma di società di capitali - abbiano percepito “utili occulti” non contabilizzati in bilancio.

Al netto dei possibili giudizi di valore su simili approcci, la tutela di chi investe e gestisce richiede, evidentemente, soglie di attenzione sempre maggiori e configurazioni, societarie e contrattuali, adeguate.