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Appalto di servizi e somministrazione irregolare di lavoro.

antica incisione di una manifattura di tabacco e3jt5b

 Antica incisione di manifattura di tabacco

La crescita del sistema imprenditoriale passa anche per la possibilità di concentrare attenzione e risorse al core business, esternalizzando attività ausiliarie, mediante la stipulazione di contratti di appalto con imprese le quali, a loro volta, si specializzino nel fornire prestazioni di "supporto":  dalle pulizie industriali alla sanitizzazione, alla logistica, al facchinaggio, al confezionamento, ad altro ancora.

Si può trattare di appalti "interni" all'impresa committente, come pure "esterni";  soprattutto nel caso dei primi, uno dei rischi gestionali consiste nella valutazione sulla regolarità o meno dell'operazione che può essere data dall'Ispettorato Territoriale del Lavoro.

E' oggettivo rilevare, a seconda dei diversi territori, approcci a loro volta diversi:  da casi nei quali l'Ispettorato approfondisce realmente i contenuti dell'attività appaltata e la struttura organizzativa dell'appaltatrice (fornendo anche eventualmente suggerimenti per la più corretta conduzione dell'attività), ad altri, in cui l'ispezione diviene quasi sinonimo di attività inevitabilmente prodromica alla comminazione di sanzioni:  fattore di cui committenti ed appaltatrici tengono conto anche a fini di localizzazione.

Le prassi adottate dagli Organi Ispettivi in occasione degli accessi, con specifico riferimento alle modalità di confezione dei verbali con le dichiarazioni delle persone intervistate, sono elemento critico di tali vicende, potendo divenire occasione di accesi confronti in sede, poi, contenziosa, giocati innanzitutto sulle regole processuali (onere della prova; genuinità e valenza delle dichiarazioni rese; dichiarazioni vs. valutazioni).

L'interpretazione progressiva delle altre regole in gioco, quelle  sostanziali, fa registrare il caso, meritevole di segnalazione, di una recente sentenza (Tribunale di Roma, Sez, Lavoro, Est. Dott. Luna, 4/10/2018).

La sentenza rammenta come la fattispecie sia regolata dall'art. 29, comma 1, del D.Lgs. n. 276 del 2003 e che il legislatore abbia inteso porre l'accento (per distinguere il contratto di appalto dalla somministrazione e, indirettamente, il contratto di appalto lecito da quello illecito) sulla circostanza che nel primo l'organizzazione dei mezzi necessari fa capo all'appaltatore. Tale organizzazione può anche risultare - tenuto conto dell'attuale evoluzione dei sistemi produttivi, che possono essere incentrati anche soltanto nella razionale gestione della forza lavoro - dall'esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell'appalto, nonché dall'assunzione, da parte del medesimo appaltatore, del rischio di impresa. In mancanza di tali presupposti, sussiste invece l'ipotesi della somministrazione, da ritenersi lecita solo alle condizioni e nei termini posti dalla legge (artt. 20 e ss., D.Lgs. n. 276 del 2003; v. ora art. 30 e segg. D.Lgs. n. 81 del 2015).

A seconda delle esigenze dedotte in contratto, ricorda la decisione, l'opera o il servizio appaltati possono anche non richiedere rilevanti risorse strutturali o impiantistiche e possono essere realizzati da una genuina impresa c.d. "leggera" o "dematerializzata", in cui l'organizzazione del fattore lavoro sia prevalente sul capitale.

In particolare, occorre che l'appaltatore assuma su di sé il rischio dell'impresa, organizzando i mezzi necessari i quali, a seconda del tipo di appalto, possono consistere in beni materiali ed immateriali e lavoro oppure anche soltanto in attività di lavoro. Dunque, si configura appalto lecito anche nelle ipotesi in cui il rapporto si esaurisca essenzialmente in prestazioni di opera (altamente qualificate, come ad esempio assistenza sistemistica, o anche non particolarmente qualificate: si pensi ad appalti di facchinaggio, pulizia e manutenzione ordinaria, già espressamente presi in considerazione dall'art. 3 della L. n. 1369 del 1960), qualora l'appaltatore provveda effettivamente ad organizzare e dirigere il lavoro del proprio personale in modo tale che l'effetto complessivo delle prestazioni lavorative soddisfi l'interesse dell'appaltante dedotto in contratto.

Il caso specifico esaminato è interessante proprio per il tipo di attività ed il suo concreto svolgimento:  "back office" reso nei locali della committente.

Sono state valutate positivamente l'esplicita menzione dell'attività stessa nel contratto di appalto e, pure, l'effettiva adibizione dei due lavoratori ricorrenti al suo espletamento.

Si è considerato coerente al sistema, inoltre, che il compenso previsto per i servizi resi dall'appaltatrice non fosse stato commisurato, contrattualmente e nei fatti, alle ore di lavoro, ma, indipendentemente dal tempo impiegato, al tipo di interventi che sarebbero stati richiesti: era stato cioè previsto un compenso complessivo massimo ma senza che l'importo prefissato potesse rappresentare l'entità del corrispettivo comunque dovuto,  giacché il compenso era commisurato a ciascun singolo tipo di attività che veniva richiesto.

Ancora, era stata pattuita una clausola volta a premiare/punire l'appaltatore nel caso di risultati, rispettivamente, superiori o inferiori a quelli attesi (con prova, altresì, dell'effettiva applicazione di una penale).

Il Tribunale ne ha dedotto "l'evidente l'assunzione da parte della appaltatrice del tipico rischio di impresa, rappresentato dalla stima compiuta circa la capacità di far fronte al volume di pratiche da trattare in base alle risorse materiali ed al personale impiegabile, in relazione ai corrispettivi unitari pattuiti. Non deve trascurarsi poi di considerare che l'appaltatrice utilizzava anche i propri locali aziendali (con il connesso rischio rappresentato dai costi di gestione degli stessi la cui dimensione doveva essere appropriata rispetto al numero di postazioni di lavoro valutate sufficienti) per garantire il raggiungimento degli standard quantitativi/qualitativi contrattualmente fissati.

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La corretta strutturazione dei contratti è quindi, sempre più in epoca ormai di appalti labour intensive, ineludibile punto di partenza per la riduzione del rischio di valutazioni negative da parte degli Organi Ispettivi e, comunque, per poter poi impostare una credibile linea argomentativa in sede di contenzioso.

Lo Studio supporta, a seconda dei casi, sia committenti, sia appaltatrici, nella predisposizione di strutture contrattuali mai "standardizzate", ma effettivamente rispondenti allo svolgimento concreto delle attività di interesse di entrambe le parti.